Esiste una storia che per narrarla un semplice “C’era una volta” non è sufficiente.
Questa è la più antica del mondo e si chiama storia della maternità.
Dalla notte dei tempi le donne hanno visto cambiare il loro corpo, hanno curiosamente assecondato i fruscii del loro ventre, hanno sostenuto i dolori del parto e nutrito i loro bambini.
Ma ci siamo mai chiesti come la maternità, l’allattamento ed il maternage fossero visti secoli o addirittura millenni orsono?
Inizia cosi un ciclo di articoli che, attraverso le fonti storiche e i reperti archeologici, ci permetteranno di fare un viaggio nel tempo sulle orme delle mamme dell’antichità.
Partiamo dunque da una civiltà misteriosa, che da sempre incuriosisce per le sue mastodontiche architetture e la sua caratteristica scrittura: gli egizi.
Nell’antico Egitto, come un po’ in tutte le antiche società, il ruolo della donna era secondario rispetto a quello maschile, eppure alcuni importanti nomi hanno oltrepassato i secoli giungendo fino a noi.
Solitamente la fama femminile era legata al vincolo matrimoniale, pensiamo per esempio a Ramesse II e alla splendida Nefertari.
Esistono però delle eccezioni come Hatshepsut e Cleopatra che riuscirono a scalare la rigida gerarchia piramidale della società egizia diventando faraone.

Il caso di Hatshepsut è a dir poco singolare in quanto la regina, per regolamentare il ruolo prettamente maschile di faraone, divinizzò la propria nascita.
Questa storia la possiamo ritrovare sui decori del portico del tempio di Deir el Bahari. Il racconto narra che Ahmose, madre di Hatshepsut, con l’inganno passò una notte d’amore con il dio Amon, dalla quale nascerà la futura regina d’Egitto.

Ahmose in dolce attesa di Hatshepsut è l’unica rappresentazione egizia di una donna in gravidanza.
Nella storia di Hatshepsut interessante è approfondire i resti archeologici analizzati in diversi secoli.
Durante gli scavi del XX secolo nella Valle dei Re la mummia della donna faraone non fu scoperta, tutto ciò che era rimasto di lei era conservato nella tomba KV20, dove fu ritrovato un vaso canopo con il suo cartiglio e all’interno un dente ed i resti di un fegato.
Importante fu la scoperta del celebre archeologo Carter che nel 1903 rinvenne la cosi detta tomba della nutrice.
In questa sepoltura fu ritrovato il sarcofago con la mummia di Sitra-In, nutrice reale di Hatshepsut.
Inoltre, adagiata accanto al sarcofago principale, fu rinvenuta un’altra mummia che gli archeologi al tempo ritennero appartenere ad una serva.
Solo nel 2006 la verità venne a galla, quando gli archeologi, supportati dalle nuove tecnologie ed incuriositi dal dente conservato nel vaso canopo con il cartiglio di Hatshepsut, iniziarono a compararlo con tutte le arcate dentarie dei depositi.
Da questo lungo lavoro si scoprì che la mummia accanto alla nutrice era proprio quella della regina, ma come aveva fatto ad arrivare fin li?
Una ventina d’anni dopo la sua morte, Hatshepsut subì la damnatio memoriae, possiamo verosimilmente supporre che un servo fedele, per salvare il corpo della regina, trasportò la mummia in un luogo sicuro accanto alla donna che si era presa cura di lei nei primi anni di vita.

Anche la storia di Cleopatra VII, l’ultima regina d’Egitto, è legata al tema della maternità.
Sappiamo che dal suo primo parto nacque Tolomeo XV meglio conosciuto con il nome di Cesarione, figlio naturale di Giulio Cesare.
Cleopatra però non si limitò a dare alla luce un figlio, volle infatti celebrarne la nascita attraverso la costruzione di un mammisi. Questi templi, tipici dell’età tolemaica, avevano la funzione di esaltare le nascite divine, ma nel caso di Cesarione l’apparato iconografico mostrava come Cleopatra per inneggiare il figlio l’avesse assimilato alla figura di Horus.
Il mito narra che il dio falco, figlio di Iside e Osiride, dopo aver vendicato la morte del padre avrebbe saggiamente governato l’Egitto insieme alla madre.
Ecco dunque il messaggio politico che Cleopatra voleva affidare alla figura di Cesarione: il nuovo Horus che avrebbe regnato l’Egitto insieme alla madre.

Ritratti di Giulio Cesare e di Cleopatra VII conservati nella collezione del Museo Gregoriano Profano, Citta del Vaticano.
Altre importanti testimonianze arrivate fino ai nostri tempi, raccontano i rituali egizi legati alla nascita e alla maternità.
Per esempio conosciamo Bes buffa divintà naniforme che con le sue smorfie e boccacce aveva il compito di scacciare il malocchio e favorire la fertilità proteggendo i matrimoni.

Scultura rappresentante il dio Bes, Museo Barracco, Roma
Alcune decorazioni, come quella presente al tempio di Luxor, ci aiutano invece a ricostruire il parto durante l’antico Egitto.
Vediamo infatti il neonato adagiato sul ventre materno pronto ad essere accudito dalla levatrice, mentre la mamma, seduta su un trono, è affidata alle cure delle ostetriche che la sorreggono dalle spalle.
Il papiri infine sono fonti inesauribili per comprendere al meglio le usanze antiche: il papiro di Westcar datato circa al 1600 a.C, si raccontano diverse curiosità legate alla nascita come: la posizione assunta dalle divine ostetriche per aiutare la partoriente, le tecniche per accelerare il parto ed i rituali per la cura del neonato.
Nel papiro di Berlin P. 15765 a, viene invece menzionato il mattone della nascita, una sorta di sedia gestatoria ante litteram, utilizzato dalle donne egizie per assecondare la posizione durante il travaglio.

Ma vi siete chieste come a una storica dell’arte sia venuta di approfondire i segreti delle mamme egizie?
Il merito è tutto di Simone Lanna e Giulia Pagliari e della loro associazione culturale C’era una volta in Egitto.
Questi due appassionati egittologi romani attraverso delle magistrali video conferenze, hanno incantato un vasto pubblico di studiosi, curiosi e guide turistiche come me, spiegando l’architettura, la religione, la cultura ed i grandi personaggi legati all’antico Egitto.
Per chi fosse interessato a scoprire altre curiosità può seguire la pagina Facebook dell’associazione o contattarli all’indirizzo ceraunavoltainegitto@gmail.com.
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