Maternità nell’Arte
Avete mai fatto caso a quante volte nella storia dell’arte si incontrino rappresentazioni di figli con le loro madri?
La maternità è qualcosa di estremamente comune, da sempre, nelle diverse mode ed epoche.
Ma qual è il significato nascosto dietro un’opera che rappresenta la maternità?
Con piacere condivido con voi un piccolo trucchetto insegnatomi dalla professoressa con quale mi sono laureata, grazie al quale è possibile decodificare la vera anima di un’opera d’arte, che sia essa un piccolo manufatto o piuttosto un enorme monumento.
Innanzitutto bisogna privare l’oggetto di quell’aurea magica conferitogli dalla classificazione a posteriore di opera d’arte.
Questo giudizio critico infatti è creato dalle coscienze che, in un determinato momento storico della vita del manufatto stesso, lo percepiscono come qualcosa di fragile da salvaguardare, colmo di un importante significato che deve essere tramandato alle generazioni future, ed è in quel preciso momento di presa di coscienza che l’oggetto in questione si trasforma per magia in un’opera d’arte.
Ma vi siete mai chiesti con quali occhi i contemporanei vedessero quella che noi chiamiamo opera d’arte?
Molto spesso erano oggetti da venerare, doni, ricordi, a volte addirittura manufatti di uso comune. Con questa nuova idea possiamo iniziare ad indagare una serie di opere relative alla tematica materna.
Partendo dai tempi remoti pensiamo agli uomini della pietra che veneravano le statuette femminile con ventre e seni gonfi, le celebri Veneri preistoriche.

La Madonna del Latte
In una società in cui la fertilità della terra era la base del sostentamento per la comunità, l’abbondanza del raccolto era affidata alle preghiere rivolta alla divinità femminilità che visibilmente rappresentava la fecondità.
Riflettiamo poi sulle rappresentazioni delle madri in epoca romana, quando la maternità era lo strumento grazie al quale si sarebbe ampliata la popolazione di quei cittadini romani capaci, secondo il loro stesso giudizio, di civilizzare l’impero a discapito dei cosi chiamati barbari.
Arrivati all’inizio dell’era cristiana la Vergine Maria diventa la figura materna per eccellenza; spesso, in luoghi ed epoche diverse, rappresentata mentre allatta il piccolo Gesù.
Questa immagine così frequentemente utilizzata divenne un’icona per sottolineare la natura umana di Cristo fattosi uomo per portare a compimento il suo salvifico sacrificio.
L’umanizzazione del figlio di Dio era uno dei concetti fondamentale nei secoli passati in quanto differenziava le diverse posizioni delle diverse comunità cristiane.

La Madre come la Carità
Le immagini spesso hanno storie antiche, capaci di mischiare culture e saperi diversi.
Nel Medioevo (leviamoci dalla testa l’idea dei secoli bui) spesso si addattarono miti classici a visioni cattoliche come per esempio la leggenda romana di Pero e di suo padre Cimone, nella quale si esalta la pietas filiale, per rappresentare l’iconografica di una delle tre virtù teologali: la Carità.
Vediamo infatti come la madre che allatta i suoi due bambini impersonifichi il concetto cristiano di amore verso il prossimo visto come proprio fratello.

La Madre Patria
Nell’età moderna poi la madre è spesso rappresentata insieme alla prole in ritratti di famiglia, dove il ruolo femminile è relegato ad essere secondario in quanto assoggettato dalla predominanza maschile anche negli ambiti più intimi.
Analizziamo poi delle opere dell’800 italiano quando nel nostro paese forti erano i dissidi per cercare un’unità nazionale.
In questi scorci presi dalla vita quotidiana vediamo come le madri e la maternità si affianchino sempre più al concetto di della madre patria.
La madre dell’800 è la figura capace di incarnare il dolore del sacrificare il bene più prezioso, i propri figli, per un bene più grande un’Italia unita.
Vediamo poi con la corrente realista come le emozioni quali la tenerezza e la dolcezza del rapporto mamma-figlio trapelino negli abbracci avvolgenti e nei sorrisi rubati.

Maternità nel XX secolo
Arrivati al XX secolo ecco il momento in cui la madre esce allo scoperto riappropriandosi, senza vergogna, del suo ruolo primario sia in casa, quanto nella società, diventando angelo del focolare, ma allo stesso tempo scendendo in piazza per urlare le propria libertà individuale.

Banksy
Ancora oggi il fascino rivestito dalla tematica non tende a scemare, ma anzi suggerisce agli artisti come Banksy o Vanessa Beecroft [che abbiamo già “incontrato” nell’articolo “Donna e arte contemporanea: nuovi linguaggi di denuncia e di confessione”] nuovi spunti da considerare e antiche visioni da rielaborare.

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